venerdì, Settembre 20, 2024
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Tutti contro il premierato ma dell’Europa senza popolo?

Ho letto delle preoccupazioni in seno alla Conferenza episcopale italiana circa alcune riforme, tra cui il premierato e l’autonomia differenziata. Mi fa piacere che il cardinale Zuppi si faccia portavoce di questi pensieri critici. È un bene che si discuta di una riforma costituzionale che incide profondamente nell’architettura e che ha anche il pregio di regolamentare squilibri ormai incistati nella cosiddetta costituzione materiale.
Premesso che non sono un fan del premierato e avrei preferito un presidenzialismo pulito – meglio il “semi” alla francese – senza avventurarsi in terreni nuovi con il rischio di restare sempre a metà del guado, premesso questo credo che siano maturi i tempi per evitare che le “parole” diventino esse stesse il loro significato. Noi parliamo, scriviamo, commentiamo usando parole impegnative quali “premier” o “governatori” per esempio, alludendo a poteri e funzioni che rimandano ad una idea che tuttavia non ha il suo fondamento nella carta fondamentale. Non esiste un premier ma un presidente del Consiglio, primus inter pares; men che meno esiste la figura del “Governatore” sebbene l’indicazione elettorale sia vincolante.

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Per quanto siamo ancora una repubblica parlamentare, le assemblee elettive sono da tempo svuotate e il loro ruolo si riduce ormai spudoratamente a mero notaio di decisioni prese nelle sfere dell’esecutivo. Con Draghi è stata l’apoteosi ma pure con Conte e sarà sicuramente così anche con il governo Meloni: la velocità di risposta in tempi di crisi è un requisito fondamentale. Non mi preoccupa pertanto l’impeto con cui il presidente del Consiglio voglia legare la legislatura (anche) alla riforma costituzionale: ritengo – come dicevo – che sia fondamentale andare oltre le parole e trovare un equilibrio. Non ho paura di un premier forte o di un presidente forte; ho paura quando non ci siano i giusti contrappesi. Lo dico pensando all’esecutivo così come al potere giudiziario, dove i contrappesi sono ancor più urgenti.
In questi tempi di crisi che si susseguono e di pesanti connessioni decisionali con altri Stati o altre istituzioni, è bene che un leader sia legittimato dal popolo e che goda di poteri ben delineati. Ma è altresì fondamentale che seppur in una architettura “leaderista”, il parlamento abbia un potere di contrappeso che, una volta fissato, sia intangibile. In America, ci sono dei limiti che il Presidente non può superare e il Congresso, nei suoi spazi, non può essere umiliato. In Italia il parlamento è svuotato. Le due Camere dovrebbero non solo rappresentare il contrappeso di un esecutivo rafforzato ma dovrebbero pure essere il luogo dove la politica si prende il giusto tempo per pensare su temi slegati dall’urgenza. E lo deve fare liberamente (penso ai temi etici o alla sfida che la tecnologia ci sta mettendo in campo).

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Se dunque la Cei è preoccupata per questa riforma, domando: di cosa hanno esattamente paura? Del leader forte? Beh, se così fosse mi duole dover dire che la Cei evidentemente non ha occhi su cosa accade nell’Unione europea, le cui regole sono decise da dinamiche poco chiare e persino poco democratiche. Il popolo in Europa è stato tagliato fuori. Ne ho scritto nel mio libro Maledetta Europa, dove la maledizione sta proprio nell’aver escluso ciò che è identità, radici culturali. Dalle parti del Vaticano ne dovrebbero sapere qualcosa. Se il cardinale Zuppi accetta la mia modestissima sfida lo invito a discutere delle tesi che ho avanzato: l’Europa non è uno Stato, non ha un popolo e comanderanno tecnocrati e finanza.

 

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