martedì, Ottobre 8, 2024
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TRA SISTOLE E DIASTOLE RISIEDE IL MIO DOLORE – POESIA DI MARIA TERESA LIUZZO

TRA SISTOLE E DIASTOLE RISIEDE IL MIO DOLORE

DI MARIA TERESA LIUZZO

 

Rimane soltanto il canto di una lunga notte

tra riccioli di onde sul cuscino

e sulle dita, schiacciati, orli di cuore.

Un lampo di vita si contrae nel sangue,

accorcia il tempo

la balza di una gonna.

Una vertigine nel rantolo del tempo

la neve si scioglieva sopra il mento,

l’incertezza era inferno nelle ossa.

Eravamo l’oriente in una stanza

sotto una gobba di luna che avanzava

decapitando la parola sull’altare.

Bruciava il silenzio più del rogo,

l’affanno distribuivi in diagonale,

i ritmi mischiavi come carte,

febbre tornavi di un sangue senza corpo.

Tu scioglievi i miei capelli d’ombra

incerto come il sole tra le nubi,

il tuo amore nel mio petto si placava.

A spasso con la morte andava la vita

e a ogni inciampo il sangue s’incrostava

incatenato alla forma dell’orrore,

cancrena dentro il cuore di una sposa.

Nel bisticcio di una rima si svelava

la parola innamorata più del fuoco.

Piovvero astri nel solco della notte

e una gemma di luna mi ha ferita.

Il tuo tessuto è una rete armata

eppure io resisto, parola viva,

nel sangue aggrumato di questa vena,

l’oblio del tempo imbastisce la scena.

Distesa su un foglio di papiro,

non vista né sentita,

morta non ero né arrugginita –

come una foglia a terra e senza méta

tra le braccia stretta dell’aurora

germogliare sentivo il sangue dalla pietra.

Chiusa la porta il cuore ho spalancato,

spalato neve sotto frasche di fiele

nell’azzurro ghiacciato dentro il fiume.

Attraversavo sentieri di parole

con sacco a pelo e un sasso per cuscino.

Nel cratere dell’acqua nuotava una canzone,

il tuono accendeva la lite

e tu esibivi un bottino di ferite.

Appariva un fossile il domani,

dove iniziava il male a rinverdire:

insegnami a morire!

Tra stanze immaginarie sei la luna,

io, lacrima appesa ad uno spillo.

Il presente è il passato del domani,

si spezza l’umanità come un dittongo.

Lo spettro del silenzio è la tua assenza,

ma non c’è pianto che scuce la coscienza.

La magia di quella notte elèva a Dio:

i solchi della pelle sulle mani,

la cera che si scioglie tra le dita.

Attònita una fiamma di candela

annullava la cecità del cuore.

Se tu fossi la morte ti avrei seguita.

S’affaccia dal crepaccio a filo un’erba,

la rima sosta ancora sul quaderno,

nell’aiuola l’unghia spunta dell’inverno.

Urlavano i rami, sembravano creature

ancorate a una tenebra di luce,

avida di preghiere era la sera.

Tutto era smarrito contro il tempo.

La morte in silenzio offriva il proprio latte.

M. T. L.

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