giovedì, Settembre 19, 2024
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“Non mangiamoci tra noi”. Il naufragio incredibile della famiglia Robertson. Come vissero per 38 giorni alla deriva nel Pacifico

Avete mai sentito parlare del naufragio dei Robertson? È una storia davvero particolare che merita di essere raccontata. Risale a 52 anni fa, ma è sempre molto avvincente, soprattutto perché è vera38 giorni alla deriva su una zattera senza acqua e con pochissimo cibo. Tutto inizia una mattinata di luglio del 1972, quando la barca a vela della famiglia Robertson subì l’attacco di alcune balene, intorno ce n’erano circa 20, in mezzo all’Oceano Pacifico. Douglas Robertson ricorda quanto accaduto in una conversazione con il Guardian: lui, all’epoca diciottenne, passò più di un mese in mezzo al mare, su una zattera precaria, insieme ai genitori e ai tre fratelli. La famiglia Robertson era salpata 17 mesi prima, nel gennaio del 1971. Il padre, Dougal, era un ex capitano della marina che aveva lasciato il posto per lavorare in una fattoria nel Peak District. Ma dopo 20 anni sentì il richiamo del mare e decise di vendere tutto e comprare una barca a vela per circumnavigare il globo. Il primo anno di navigazione – ricorda Douglas – fu fantastico: dall’Inghilterra al Portogallo, alle Canarie, ai Caraibi, alle Bahamas, a Miami, attraverso il Canale di Panama e poi alle Isole Galápagos. Trascorsero circa sei mesi a Miami, lavorando per guadagnare e per sovvenzionare la parte successiva del loro viaggio. Poi…

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Ripartiti da Miami, erano in viaggio da 45 giorni, direzione Isole Marchesi, quando furono attaccati dalle orche. La barca a vela imbarcò subito tanta acqua. I Robertson avevano un gommone e una piccola zattera regalata da una famiglia islandese all’inizio del tour. Racconta Douglas: “Ho pensato: ‘Ci siamo, è così che morirai’. Sono rimasto in acqua e ho aiutato tutti a salire sulla zattera. Continuavo a cercare le gambe per vedere se le avevo ancora perché avevo sentito dire che non si sente il morso, si vede solo il sangue nell’acqua”. Dopo poco si trovarono in mare aperto, a centinaia di chilometri di distanza dalla terraferma, con una scorta di acqua dolce e cibo per soli dieci giorni. Si fecero una promessa: “Non mangiamoci a vicenda“. Durante il naufragio, i Robertson bevvero il sangue delle tartarughe per dissetarsi, e le mangiarono per sfamarsi. “Col passare dei giorni, la zattera peggiorava sempre di più. I pesci l’avevano bucata e perdeva. Eravamo coperti di foruncoli e non riuscivamo a dormire perché eravamo immersi fino al petto nell’acqua. C’era un posto asciutto su quella zattera e ci siamo fermati un’ora a testa”. Poi arrivò la pioggia.

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Al 17esimo giorno di naufragio, si trasferirono dalla zattera al canotto. Per cinque giorni rimasero senza acqua. “Prendevamo i pesci e gli succhiavamo i bulbi oculari e le vertebre. Erano pieni di acqua fresca. Mangiavamo il contenuto dei loro stomaci. Era come cibo cotto”. Il 23 luglio del 1972 avvistarono un’altra nave, un peschereccio giapponese. Nonostante il razzo lanciato, l’imbarcazione andò via. La famiglia Robertson in naufragio era stata scambiata per pirati. Dopo dieci minuti, però, la sorpresa: la nave tornò indietro. Dopo 38 giorni i naufraghi erano stati tratti in salvo. Il naufragio ha segnato la vita dei Robertson. I genitori divorziarono un anno dopo. Il figlio, invece, scrisse un bestseller, “Survive the Savage Sea”, che gli consentì di comprare uno yacht con cui voleva completare il giro del mondo, ma il suo viaggio si fermò in Grecia, dove decise di trasferirsi a vivere. Ovviamente non in una casa, ma sulla sua barca.

 

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