lunedì, Settembre 16, 2024
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Iddu, Elio Germano è Matteo Messina Denaro

L’attore Elio Germano ha assunto il volto e la voce di Matteo Messina Denaro in una nuova produzione cinematografica che punta a raccontare la vita del famigerato boss mafioso. Il film, attesissimo, ha già suscitato un forte dibattito, non solo per la scelta del soggetto, ma anche per le implicazioni che una rappresentazione così realistica potrebbe avere sulla percezione pubblica di una delle figure più controverse e pericolose della recente storia italiana.

Dopo aver scontato sei anni di prigione a Cuneo per reati di mafia, Catello Palumbo (Toni Servillo), oramai ex preside, ex sindaco, ex assessore, ex consigliere, ex massone di un paese siciliano, torna a casa e diventa suo malgrado pedina dei Servizi Segreti per avvicinare il boss latitante Matteo (Elio Germano in modalità, appunto, Messina Denaro). Catello, tipica figura da tuttofare politico amministrativo locale della mafia, era vicinissimo al padre defunto del boss. I Servizi sperano così attraverso di lui di riuscire a scovare il criminale. Il boss però non sembra avere un buon ricordo di Catello e i Servizi oltretutto non sembrano proprio avere tutte le intenzioni di individuare Matteo per arrestarlo. A quel punto sarà la giovane ispettrice Mancuso (Daniela Marra) a ricattare Catello per intraprendere un rapporto epistolare con il criminale e fare finalmente giustizia.locandina

Nonostante l’occasione d’oro di intraprendere un film prettamente “epistolare” di pizzetti e lettere, Iddu sembra un film continuamente spostato su mille registri del passato cinema di genere, e non solo, senza mai centrarne o sposarne uno. In primis il tentativo di un’astrazione grottesca della cronaca alla Petri (i contrappunti sonori alla Morricone ad esempio ci sono), ma subito dietro ecco stinte chiazze di noir per consentire la presenza della brutalità genetica del criminale, e soprattutto quel continuo registro comico paradossale che entra in campo ad ogni smorfia e camminata di Servillo e della sua crew familiare fino a macchiare tutti i soggetti in scena e quindi tutta le tela del quadro.

Ed è stato un rischio, almeno teorico, quello di ritrarre un frammento ideale di ciò che è (ed è stato) il ricercato numero uno in Italia. Rischio, questo, in qualche modo compensato e veicolato in quello che sarà poi un lungometraggio asciutto, quasi asettico, ma spezzato da un umorismo mai invadente e anzi coerente con lo spirito di un manipolo di personaggi che, ripetiamo, devono essere necessariamente separati dalla realtà (nonostante sia presente, e fondamentale nel tratteggio psicologico: il rapporto tra Matteo e suo padre, per esempio). Certo, ciò che vediamo in Iddu, e ciò che porta in scena la mimica e la dialettica di Elio Germano (e non possono mancare gli iconici occhiali), è indubbiamente continua allo spettro del boss, ma per comprendere (e forse quindi apprezzare meglio) Iddu bisogna compiere un ulteriore sforzo immaginifico, legato indissolubilmente al mezzo cinematografico mosso dai registi, che si affidano alla fotografia di Luca Bigazzi e all’ottima colonna sonora composta da Colapasce.

Non era facile, perché raccontare Matteo (Messina Denaro) senza mai inquadrare totalmente il suo profilo è una sfida che richiede talento narrativo e fermezza registica. Piazza e Grassadonia, quindi, mantenendo coerente la loro poetica, scelgono la strada della fermezza e dell’austerità, andando al cuore del reale tramite un film che punta tutto sull’irrealtà. Tra spettri e uomini invisibili, ecco che Iddu diventa l’alternativa alla cronaca, puntando ad un’originalità che compensa la sfuggente sensazione che pervade l’opera.

 

 

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