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Di GIUSEPPE DE MARCO: CONCETTI E COLORI NELLA POESIA DI MARIA TERESA LIUZZO

CONCETTI E COLORI NELLA POESIA DI MARIA TERESA LIUZZO

Di GIUSEPPE DE MARCO (Studioso di Dante – Filologo – Critico letterario)

 

 La fissità dei suoni, nella poesia di Maria Teresa Liuzzo, è inaccettabile in quanto finirebbe, con l’identificarsi nella necessaria forma apparente di quella ”immobilità” delle idee che rende l’anima priva di risonanze. Ciò indipendentemente dalla tematica, che può essere luce effusa o baleno, spontaneità o tormentata tensione, ma, in ogni caso, mai mero divagare: ”Giochi sepolti / nello scoglio / dei ricordi / penzolano / dalla forca / del tradimento!”

( … ) Tu / non lo sai. / Attorno a me / c’è festa / di solitudine!

L’atteggiamento della poetessa, in quanto come in altri luoghi della sua poesia, è, al tempo stesso, di approfondimento nella ”creazione” e di ”distacco”. Nell’uso dell’espressione ella procede nella ricerca di ciò che in poesia è il suono, che si materializza in ritmi multipli, in sottili intrighi e in propagate ripercussioni, cui corrispondono il giuoco delle parole e delle immagini; eppure resta al centro dell’arte, poiché il suo resta sempre un mondo interiore che anela alla forma unica e necessaria, in cui la tecnica viene trascesa, in un possesso pieno e fecondo. Il suo non è mai trastullo intellettuale, squisito e aristocratico, ma preciso atteggiamento e manifestazione di una vocazione. La contenenza della poesia liuzziana è quasi tutta una continua antitesi tra ”senso” e ”non senso”, che mirabilmente si offre al contrasto fra concetti e colori, con una ingegnosità d’immaginazione che non è consentita se non dall’impeto della ”creazione”.

C’è qualche cosa nelle composizioni che formano il volume Psiche, che di continuo ricorda l’alternarsi di soggetto e controsoggetto proprio delle fughe musicali. Così, il tono di celia diviene sempre più uno stato d’animo, in una disposizione sentimentale e passionale da cui scaturisce la poesia. Ed anche quando la Nostra tenta di rievocare una sorta di stato ansioso, il suo spirito non si affaccia mai irrigidito in una formula:

” Nevrosi depressa / dall’ansia / che sale / come pendio / il pastore. / Dramma / controllato d’ansiolitici / monte – piano / febbrilmente discusso / nevoso appare / e giada a fiotti / la nube oceanica sparge / assurda stasi! / ( … ) La fiamma / ogni cosa satura / sfera emotiva / con la sua lingua infernale / e noi ”pezzi ” di carne ignara / le sue fauci cibammo!”

Non bisogna lasciarsi indurre a credere che la poesia della Liuzzo aspiri a compiersi nella melodia, ad integrarsi nelle armonie. Essa è di per sé vibrante di accenti, ricca di sonorità soprattutto interiori. Nella storiografia letteraria si obbedisce sovente all’esigenza di classificare, raggruppare e definire, ma è certo che questa poetessa sfugge alle diverse ”formule” che nel suo caso si rivelerebbero tutte eccessivamente approssimative, al punto da farci dubitare se effettivamente possa esistere una ”etichetta”. Eppure le poesie di ”Psiche” costituiscono, nel loro insieme, un discorso critico unitario oltre che rigoroso, una difesa in risposta a coloro che nella poesia d’oggi vogliono soprattutto vedere una manifestazione di sregolatezza e una gratuita ricerca di effetti, onde, a buona ragione, il Piromalli, sostiene acutamente che la poesia della Nostra è lontana dal tradizionalismo delle forme e dello sperimentalismo, ”appartiene alla schiera novecentesca e vive in un assiduo rapporto tra le metamorfosi continue della parola e le metafore di un mondo etico presupposto o affermato, nell’incertezza che pervade le coscienze sofferenti”.

        Giuseppe De Marco

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