domenica, Settembre 29, 2024
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Recensione al romanzo di Maria Teresa Liuzzo ”Non dirmi che ho amato il vento” – A cura di Eugen Galasso

Recensione al romanzo di Maria Teresa Liuzzo ”Non dirmi che ho amato il vento”

A cura di Eugen Galasso

 

Premessa: Devo premettere a queste considerazioni un’avvertenza: l’introduzione di Mauro Decastelli al libro “Non dirmi che ho amato il vento”, nuova creazione di Maria Teresa Liuzzo, , vero e proprio saggio indispensabile per accostarsi al testo, è talmente esaustiva e completa, sia analiticamente sia in chiave sintetica, che aggiungere qualcosa può risultare pletorico; tuttavia ritengo di (poter) aggiungere tre considerazioni, in qualche modo esorbitanti, pur se certo in qualche modo tangenti alla ricchissima introduzione di Mauro.                        

  1. A) Riprendendo la teoria linguistica formulata da Ferdinand De Saussure, poi ampliata da Roman Jakobson: più ancora che in “E adesso parlo…” in “Non dirmi che ho amato il vento” Maria Teresa Liuzzo, poetessa, scrittrice , organizzatrice culturale, editrice, fa in modo che l’asse paradigmatico, tipico della creazione “poetica” (poìesis=creazione) irrompa in (su, viene da dire) quello sintagmatico, quello prosastico, tipico della narrazione, del romanzo (dove nella scrittura di Liuzzo l’elemento “roman”, “avventuroso”, già comunque poco presente nel primo libro della trilogia qui viene ulteriormente”deprivato”, a favore dell’asse, appunto, paradigmatico, dove, cioè, alcuni lemmi e alcuni sintagmi fondamentali sopravanzano quell’elemento diacronico . Ecco allora che lemmi-simbolo come “Casa Destina”, neologismo, appunto, che può tranquillamente assurgere a lemma-chiave, sono elementi portanti di questa “revolutio paradigmatica”, ma altrettanto vale per la transfunzionalizzazione di lemmi attinti alla tradizione quali (ne cito solo alcuni, chiaramente, per ovvi motivi di spazio) “L’Apeiron, l’Oltre, l’Illimitato, il Giardino dell’Eden, Ultimo Sole, Ultima Era”. Si tratta, come si può vedere molto chiaramente, di quei lemmi-chiave che appartengono sia alla tradizione biblico-cristiana sia a quella delle culture classiche (l’Apeiron risale ad Anassimandro, uno dei pensatori più importanti della tradizione detta “presocratica”, colui che ben più di Talete, Anassimene e anche di Empedocle, riesce a inserire come “Archè” del “Reale” quel principio “indeterminato” – ossia non determinato da elementi meramente naturalistici – che aprono all’Infinito, dove il richiamo non è solo e forse neppure tanto alla Trascendenza, ma anche soprattutto al concetto di “Infinito” come quello di “Zero” che tanti problemi aveva creato alla concezione matematica e della matematica nel mondo greco). Un Apeiron, chiaramente, che i nuovi orizzonti post-einsteiniani (penso, per fare solo un nome noto a molti, anche solo appassionati di cosmologia, a Stephen Hawking) riscoprono in altra e nuova accezione rispetto all’Urwort anassimandreo, eppure in stretta attinenza con lo stesso);
  2. B) In questo nuovo “romanzo” (vedi quanto accennato sopra) di Maria Teresa Liuzzo tali lemmi-chiave sono chiaramente simboli archetipici e come tali soggetti a quanto dice Carl Gustav Jung, in particolare accentuando il carattere appunto “archetipico”, id est fondativo del simbolo archetipico stesso, ma anche polisemico e polivalente, per cui, a differenza dell’allegoria, il simbolo non è mai leggibile unicamente in accezione univoca. D’altronde i simboli fondamentali della cristianità(in particolare nell’interpretazione cattolica)quali la Vergine e la Croce sono leggibili anche in una chiave che ormai anche ogni seria riflessione teologica come anche ogni indagine esegetica accettano: la Vergine (che la si intenda cattolicamente quale “Mater Dei” o invece solo come Mater Christi, seguendo la tradizione protestante) richiama la Mater Matuta, l’Urmutter, che è anche, principalmente, la Natura Generatrice, quella che poi verrà intesa come Narura Naturans, mentre la Croce, non è solo il simbolo dell’espiazione del Verbo Incarnato ma anche la convergenza della dimensione verticale (teologicamente: amor Dei, della trascendenza) e di quella orizzontale (amore dei fratelli, il concetto che ha anche potentemente ispirato l’enciclica “Fratelli tutti” di Papa Francesco del 3 ottobre 2020. Per un approfondimento di quanto qui accennato si vedano in particolare le opere di C.G.Jung, quelle di J.Campbell (in particolare “Mitologia primitiva”, Milano, Mondadori, 1990 e “Mitologia creativa, ibidem, 1993) e “La via del simbolo” di A. Bermolen, M. G. Dal Porto e L. Moretto, “La via del simbolo”, Roma, CVX, 2002;
  3. C) Esiste però anche un terzo approccio teorico che credo ineliminabile, se pure non è il principale per leggere l’opera della prof.ssa Liuzzo: il materialismo storico, che rimane essenziale, se inteso correttamente e non volgarizzato (cosa che purtroppo è stata fatta nel corso del tempo, ossia per quasi due secoli, ormai) per intendere la storia e dunque anche la storia della letteratura: senza il riduzionismo che vorrebbe dicotomizzare la “base” (rapporti socio-economici) dalla “sovrastruttura” (religione, filosofia, diritto, arte, teoria in genere), bisogna tener conto di quanto è essenziale per “vivere” e se possibile “vivere bene” o almeno discretamente e su questo si innesta lo “struggle for the life” non solo tra le classi ma anche tra gli individui, anche se appartenenti alla stessa famiglia, come dimostra la lotta per l’eredità che vorrebbe escludere e di fatti riesce a escludere Mary dalla stessa. Senza ciò mancherebbe un tratto essenziale dell’opera, quasi quanto ne è “motore” non certo accidentale. Il che ovviamente non vuol dire che il resto sia mera” “sovrastruttura” e “ideologia”, anzi, ma è un elemento forte per intendere quanto porta ad essere hobbesiamente “homines hominibus lupi” i componenti (sia maschili sia femminili) della famiglia di Mary, appunto portando ad una vera “conventio ad exludendum” vero la protagonista della trilogia. Quale controprova di ciò si consideri l’importanza della “roba” in un autore quale Giovanni Verga, esponente della cultura conservatrice (“era un uomo di censo” si dice giustamente) e del verismo letterario.

Eugen Galasso

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