giovedì, Settembre 19, 2024
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26enne passa 16 mesi in carcere da innocente per una traduzione sbagliata. Era accusato di violenza sessuale

di Paolo Cagnoni

Un errore di traduzione ha segnato la vita di un giovane cinese di 26 anni, accusato di violenza sessuale nei confronti di una coetanea. Il ragazzo ha trascorso un anno e quattro mesi tra carcere e arresti domiciliari. La vicenda, complessa e controversa, è finita con l’assoluzione del 26enne, “salvato” grazie all’intervento dellavvocato della difesa Simona Sardi, che ha dimostrato come la ci fosse stato un incredibile errore di traduzione delle dichiarazioni della presunta vittima.

TUTTO INIZIA CON UNA TRADUZIONE SBAGLIATA
La storia ha avuto inizio tra il 23 e il 24 maggio dello scorso anno. Ed ha avuto origine da un rapporto difficile tra i due protagonisti della vicenda, caratterizzato da litigi feroci conditi da schiaffi reciproci. Oltre a un episodio in cui l’uomo ha messo le mani al collo della sua compagna. Dopo la lite, tuttavia, i due hanno avuto un rapporto sessuale. Preoccupati per una situazione in perenne tensione, alcuni amici della donna hanno allertato le forze dell’ordine che, una volta sul posto, hanno riscontrato i segni sul collo della ragazza e hanno ascoltato la sua testimonianza, tradotta dall’inglese da un’amica presente sul luogo.
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Solo che la traduzione era errata. Secondo quanto riportato dalla traduttrice, la ragazza avrebbe dichiarato di essere stata presa per il collo e costretta ad avere un rapporto sessuale. Una versione che ha portato inevitabilmente a un procedimento penale nei confronti del giovane cinese, con giudizio immediato e l’avvio del processo. La difesa del 26enne, però, aveva subito sollevato dubbi sulla correttezza della traduzione, sottolineando come le parole originali della donna fossero state mal interpretate.

NUOVA TRADUZIONE E ASSOLUZIONE

Durante il processo, la compagna del 26enne avrebbe espresso la volontà di ritirare la denuncia, sostenendo che il rapporto era stato consensuale e che la traduzione delle sue parole non era stata accurata. Grazie a una nuova perizia linguistica richiesta dalla difesa, un altro traduttore è stato incaricato di riascoltare le registrazioni dell’udienza. È emerso che la donna aveva effettivamente dichiarato: “All’inizio non volevo perché stavamo litigando, ma poi ero consenziente”.

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LA SENTENZA: IL FATTO NON SUSSISTE

Questo nuovo elemento ha cambiato l’esito del processo, portando la procura a chiedere l’assoluzione per il giovane cinese. La sentenza definitiva ha accertato che “il fatto non sussiste”, riconoscendo che la denuncia era stata basata su un errore di interpretazione delle parole della ragazza. Nonostante l’assoluzione, la vicenda ha sollevato dubbi sulla gestione delle traduzioni nei processi giudiziari. Soprattutto in caso di procedimenti che affrontano argomenti particolarmente delicati, come nel caso in questione.

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