giovedì, Settembre 19, 2024
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Paolo Crepet: “Viviamo in un film dell’orrore. Difendiamoci con le nostre emozioni”

“Io un Grillo parlante? Il problema non è se lo sia o meno, ma piuttosto che oggi se ne vedono molto pochi”. Perché l’umanità rischia l’imbarbarimento senza che ci si affanni a cercare i possibili antidoti. Dove sono finite le nostre emozioni, senza punto di domanda, è il sottotitolo del libro Mordere il cielo, ultimo lavoro su pagina di Paolo Crepet uscito da pochi giorni per Mondadori. 

Thesocialpost lo ha intervistato in un momento di pausa tra i molti incontri che lo psichiatra sta tenendo in questi giorni, in giro per l’Italia. Appuntamenti sempre molto affollati nei quali Crepet, condividendo anche ricordi personali, incontri e riflessioni, esorta tutti a ribellarsi all’indifferenza.

“Io parlo e racconto di quello che mi dice la gente che viene a seguire gli incontri. In questi ultimi mesi – sostiene l’autore – vedo i teatri pieni e spesso mi sento dire che è necessario fornire un pensiero non allineato. Lo traduco nel constatare che oggi siamo incapaci di trovare un pensiero critico, mentre dobbiamo difendere i diritti che in alcune società moderne diventa perfino complicato definirle democratiche”.

Professore, quali diritti sono in gioco?
“Quelli fondamentali, quelli che dovrebbe avere qualsiasi bambino di oggi che sarà l’uomo di domani. Penso a tutte le implicazioni che potrà avere nell’immediato futuro l’Intelligenza artificiale e resto sbigottito dal fatto che nel recente dibattito elettorale tra Biden e Trump l’argomento non sia stato nemmeno accennato. Attenzione, l’Ia non ha soltanto risvolti negativi, voglio esser chiaro, ma dobbiamo essere in grado di regolamentarla per non perdere la capacità di interpretazione della nostra meravigliosa imprevedibilità”. 

La sua lettura del mondo contemporaneo può sembrare molto critica.
“Il mondo sta vivendo tra guerre, migrazioni ed emergenze, come quella ambientale, che ci spingono a credere che le possibilità di sopravvivere siano trovando rifugio nella negazione e nella paura. Io non ho un pensiero egemonico, non dico cosa bisogna fare, ma parlo delle mie opinioni. Trovandomi a essere molto preoccupato per le giovani generazioni, tra le quali osservo un forte calo della creatività. Esempio: non vedo in giro fenomeni musicali che sapranno resistere per cinquant’anni, come i Rolling Stones che ancora sono in attività. Del rapper di oggi che spopola tra i giovani cosa resterà tra cinquant’anni?”

Lei ne ha parlato spesso, da anni ormai: continuiamo a perdere i punti di riferimento come dovrebbero essere i genitori e la scuola?
“Non c’è dubbio. La maggioranza di noi pensa che la scuola di oggi possa essere senza regole, senza i voti per esempio. Ma proprio la scuola deve insegnarci che bisogna saper perdere e che se sei stato bocciato è anche per colpa tua. Invece al primo no che si riceve, nell’istruzione o negli affetti, per molti ragazzi diventa una tragedia e si ritrovano incapaci ad affrontare la situazione. Per non parlare poi dei danni che sta provocando sul modo di vivere in società il politicamente corretto, mentre l’empatia che dovrebbe regolare ogni nostro rapporto con l’altro, è la prima vittima”.

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Quell’empatia, come suggerisce il suo libro, che dovrebbe essere invece il primo antidoto
“Ma sì, visto che oggi non ci abbracciamo più, non ci scambiamo più quegli affetti che una volta erano quasi la regola. Non ci scambiamo nemmeno i punti di vista, ma cerchiamo di imporli l’uno all’altro. È un film dell’orrore, ci manca perfino la preoccupazione di preoccuparci, stiamo pian piano scivolando nell’anestesia dell’anima. Sono troppo negativo? Non penso, perché credo che sia molto utile avere una visione d’insieme della realtà e di fornire degli esempi. Come può essere l’indicazione da dare ai genitori di non lasciare i propri figli per ore con il telefonino in mano, ma piuttosto di dar loro fogli e matite”.

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