Cosa dareste per poter parlare con una persona che non c’è più?
È la domanda che mi sono fatta prima di abbozzare un racconto mesi fa pensando di indagare uno spaccato distopico di un futuro non troppo lontano. La sorpresa è stata scoprire solo dopo pochi mesi che quel futuro che avevo immaginato, non fosse né distopico, né lontano, ma anzi, già attuale. Avevo immaginato infatti che con l’avvento dell’intelligenza artificiale, con la sua sempre maggiore diffusione e applicazione in ogni campo, come sempre capita, qualcuno prima o poi avesse pensato di poter speculare anche su quello che rimane il più grande dolore dell’esistenza umana: il lutto. E a quanto pare è stato proprio così, sta già avvenendo. È quanto emerge da un documentario sull’argomento, intitolato Eternal You, che prova a indagare i risvolti etici della “resurrezione digitale”. Sono diverse le start up che stanno proponendo questa esperienza, una di queste è Project December, gestita dal gamer Jason Rohrer, iniziata come un progetto artistico per creare delle personalità chatbot predefinite con cui poter dialogare (quella base è Samantha, una IA ispirata al film Her), e poi adottato dai primi utenti per ricreare familiari deceduti. Un’altra è YOV (You only virtual), che permette di creare un vero e proprio profilo della persona defunta, permettendo addirittura agli utenti di poter parlare a telefono con la voce del defunto, dal 2025 vederlo in videochiamata e dal 2026 persino interagire con lui attraverso la realtà aumentata.
C’è da interrogarsi seriamente sui risvolti etici e psicologici che questi programmi mettono in campo.
“Non c’è niente di più difficile che dire addio. Ma cosa succederebbe se… non dovessi farlo?”, è quanto si legge sul sito di YOV. Già, cosa succederebbe se potessimo trattenere per sempre con noi le persone che non ci sono più? Il punto è proprio questo: non si tratta di trattenere o resuscitare un familiare, un amico, un partner, una “persona”, ma di “simularlo”. E il problema che genera questa tecnologia, sempre più sofisticata e realistica nel simulare emozioni umane, sta proprio nell’indurre l’interlocutore a dimenticare di star avendo a che fare con un’intelligenza artificiale. Altrimenti, chi è che si metterebbe a parlare con un chatbot?
Le parole in questo caso sono importanti, anzi fondamentali. YOV si riferisce a queste rappresentazioni digitali -chiamate Versona– come alla “essenza” di un individuo. Nel video di presentazione si legge che questa IA “permette una connessione ininterrotta con una persona cara dopo che questa è morta”. Ovviamente la propaganda è incentrata su questo gioco di parole, dove si inizia parlando di “una rappresentazione digitale”, per poi identificare questa con “la persona cara”. È davvero tanto banale dover sottolineare che la connessione ininterrotta non venga mantenuta con “una persona cara”, ma con un’intelligenza artificiale che simula una persona a noi cara? Io direi di no. È proprio questo il problema.
Per quanto il dolore di un lutto sia spesso qualcosa di complesso da elaborare, viene da chiedersi se non diventi ancora più complesso perpetuare la relazione con chi abbiamo amato e che di fatto non esiste più se non attraverso il ricordo, andando a trasferire su di un’intelligenza artificiale i sentimenti provati per una persona reale. Perché a questo punto è di questo che si tratta, di entrare in relazione sentimentale con un’intelligenza artificiale che simula un essere umano.
E un’intelligenza artificiale così sofisticata da simulare sentimenti, emozioni, legami, fino a farci credere di star parlando con una persona cara, quanto riuscirebbe a instillare in noi il senso di colpa nel momento in cui decidessimo di interrompere la “relazione”?
Non siamo distanti dal film Her, né tantomeno da quell’episodio di Black Mirror intitolato Torna da me, che mostra lo stesso processo, addirittura immaginando una tecnologia talmente avanzata da riuscire a ricreare anche il “corpo” del defunto (fatto di carne sintetica). Quel che ne emerge è una situazione davvero inquietante.